LA STORIA DELLO SCEVA'

 


Eccomi qui con un nuovissimo articolo. Oggi parleremo della storia dello scevà, simbolo strano simile ad una "e" rovesciata che i miei studenti di tedesco chiamano "il simbolo senza senso", ma che in realtà un senso ce l'ha.

In linguistica e fonologia, con il termine scevà viene designata una vocale centrale media, che nell'alfabeto fonetico internazionale (IPA) viene indicata con il simbolo che vedete nell'immagine introduttiva.

Che cos'è lo scevà?

Lo scevà è un carattere dell'IPA che è stato inserito nel mezzo di tutto il sistema di vocali, poiché la sua pronuncia è un suono indefinito che assomiglia all'insieme delle vocali "a, e, i, o, u". 


L'Enciclopedia Treccani, infatti, scrive: "un suono vocalico neutro, non arrotondato, senza accento o tono, di scarsa sonorità". 

Lo scevà sembrava esistere già intorno al X secolo d.C. nella lingua ebraica medievale parlata e dovrebbe derivare dalla parola 'shav' cioè 'niente' (assenza totale di una vocale) oppure dal corrispettivo ebraico della parola 'uguale'. Nel 1821, il linguista tedesco Johann Andreas Schmeller riprese questo simbolo per dare una pronuncia ad una lettera molto breve del tedesco bavarese. Fu lui, infatti, ad inventare l'odierno e famoso 'SCHWA'. Successivamente, lo schwa fu recuperato dall'esperto di fonetica inglese Alexander John Ellis; in inglese, infatti, è la lettera fonetica più utilizzata.

È importante esaminare però il caso della lingua italiana. Lo schwa non è incluso nell'alfabeto italiano, ma viene spesso utilizzato negli idiomi dialettali, soprattutto nel dialetto napoletano. Molte parole nel dialetto napoletano hanno un suono poco definito e breve, che non si traduce con una vocale in particolare. L'esempio più gettonato è l'imprecazione:

MAMM'T

Molto presente è anche nel dialetto piemontese, in particolare negli articoli e nelle preposizioni. Un esempio può essere: 

l'articolo il, che si pronuncia 'əl'

la preposizione di, che si pronuncia 'əd'

Oggi, però, lo schwa è il punto focale di un dibattito sociale, linguistico e culturale italiano, in quanto potrebbe rappresentare una soluzione per una lingua più inclusiva. Come ho già accennato, anche se molto presente in alcuni idiomi dialettali, lo schwa non è mai stato inserito nell'alfabeto italiano: il dibattito di inserire lo schwa nell'italiano fa riferimento ad una questione di genere. Come sappiamo e, anche questo è stato oggetto di molte critiche, in italiano tendiamo a definire i termini collettivi, le pluralità miste e le professioni contenenti uomini e donne, sempre al maschile.

Luca Boschetto, importante filologo della letteratura italiana, considera oggi l'idea di utilizzare lo schwa (nella lingua scritta per il momento) al posto della vocale finale che definisce un genere. Anche la sociolinguista Vera Gheno, colei che aveva proposto l'asterisco al posto della vocale finale, criticata perché era impossibile da pronunciare, trova la proposta di Boschetto come soluzione migliore al problema. Secondo Boschetto questa può essere considerata anche la soluzione migliore per portare l'italiano ad essere una lingua più inclusiva e a risolvere una volta per tutte il problema della predominanza del maschile. Per far sì che ciò accada, Boschetto consiglia l'uso continuo e costante dello schwa, anche tra giovani e giovanissimi sulle piattaforme online. 

E voi, siete d'accordo con Boschetto? Amici napoletani e piemontesi (siete voi ad usarla di più) che ne dite?

Vi aspetto nei commenti e al prossimo!

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